Amori impossibili, devozione fino al sacrificio, turbamenti, slanci verso le altezze dell’anima: tutte le sfumature dell’Amore, racchiuse nei versi di una protagonista assoluta della letteratura del Novecento. In occasione dei 130 anni dalla nascita di Marina, questo libro raccoglie, per la prima volta in italiano, i cicli poetici dedicati a Sof’ja Parnok, Sonečka, Boris Pasternak, Sergej Ėfron e altri uomini passati come comete nella vita tormentata di Marina Cvetaeva. La traduzione di Marilena Rea, la maggiore esperta della poetessa russa in Italia, dà finalmente la possibilità di avvicinarsi a quelle raffinate ghirlande sonore che sono le poesie di Marina.
Un mito intramontabile: la tragedia della matrigna che si innamora del figliastro. Dalle dure sponde greche, Marina Cvetaeva trasmigra questo amore impossibile nel suo mondo personale, dove l’Amore è sempre un Non-Amore, un Non-Incontro. Nella voce di questa eroina «di ossa – non di carne», Marina fa vibrare la disappartenenza al mondo che contraddistingue la sua stessa vita.
Una fiaba russa trasformata in un canto d’Amore e Morte: la vergine guerriera Zar-fanciulla cede a un amore irrealizzabile per lo Zarevič, un alter ego del misogino Ippolito e dell’inetto Amleto. Un intreccio di tante storie mitiche, una polifonia dei personaggi interiori di Marina Cvetaeva. A cento anni dalla prima edizione del poema, questo capolavoro della poesia russa del Novecento viene finalmente tradotto per la prima volta in italiano.
Dopo "Una serata non terrestre", con i tre racconti compresi in questo volume, tutti appartenenti agli anni della maturità (1934-1935), concludiamo la serie di scritti autobiografici di Marina Cvetaeva. I due maggiori "Mia madre e la musica" e "Il diavolo" sono tra i racconti più famosi della grande scrittrice. Il primo di essi, oltre a rappresentare una bellissima testimonianza autobiografica sul difficile rapporto con la madre pianista e con la sorella Asja, offre una chiave importante per penetrare nel complesso modus poetandi di Marina, la cui poesia fortemente musicale si lega indissolubilmente anche e proprio con le sue esperienze infantili al pianoforte, sentite soprattutto come un'imposizione materna, ma non per questo meno fondamentali nella sua formazione. Il più breve e molto meno noto racconto "La fiaba di mia madre" costituisce un ulteriore tassello di questo apprendistato ancor più esistenziale che musicale-letterario; in un'atmosfera quasi irreale, rarefatta, assistiamo qui alla competizione tra Marina e Asja per ricevere l'attenzione della madre. Su un versante diverso ma anche complementare, e che potremmo definire in un certo senso 'etico', sta "Il diavolo". Qui il peccato e il mistero risiedono nel "desiderio segreto" di Marina bambina, primo germe di un senso di diversità esistenziale, di separatezza, persino di solitudine, difeso e combattuto dalla Cvetaeva per tutto l'arco della sua vita.
"Io non amo la vita in quanto tale", scriveva Marina Cvetaeva, "per me essa comincia ad avere un significato, cioè a trovare senso e peso, solo trasfigurata, ovvero nell'arte". E Marina Cvetaeva ha voluto che l'intera sua esistenza - pur sprofondata nelle peggiori crudeltà dell'epoca, e pur irrimediabilmente segnata dalle sue stesse personali tragedie - dalla tragica morte per denutrizione di una delle sue figlie, all'uccisione del marito, fino al suo stesso suicidio -, venisse trasfigurata nell'arte.
Apparso a Berlino nel 1923 "Mestiere" raccoglie le centoquattro poesie scritte da Marina Cvetaeva dall'aprile del 1921 all'aprile del 1922, un anno particolarmente tragico per la Russia post-rivoluzionaria, a causa della carestia e della sempre più brutale guerra civile; e un anno particolarmente duro per la scrittrice, che già aveva perduto la figlia Irina, morta di stenti in un orfanotrofio nel febbraio del 1920, e con il marito Sergej Efron irraggiungibile, arruolato nelle file dei Bianchi, l'armata volontaria filo-zarista: un lunghissimo anno che doveva terminare con la partenza per l'esilio, nel maggio del 1922. Di fronte allo sfascio del suo mondo simboleggiato anche dalla morte, il 7 agosto del 1921, di Aleksandr Blok, il grande e amatissimo poeta che più di ogni altro influì sulla generazione della Cvetaeva -, sembra quasi titanica l'impresa di questa imponente raccolta; ma Marina lotta con tenacia, accanitamente, per la sopravvivenza della propria voce, ed è forse proprio questo istinto di conservazione lirica a celarsi sotto un titolo che potrebbe sembrare a prima vista freddo, o richiamare addirittura qualcosa di artificioso, così alieno invece dallo spirito di questa grande scrittrice. Il mestiere di poeta è, in realtà, per Marina la sua ancora di salvezza, e insieme la sua vita più vera; e valgano, a sgombrare ogni equivoco, le parole della scrittrice, in una lettera a Aleksandr Bachrach del 9 giugno del 1923: "Di che Mestiere si tratta? Di quello lirico..."
Più di ogni altra espressione poetica, e molto più degli altri grandi poeti russi del primo Novecento, la poesia di Marina Cvetaeva è caratterizzata da una straordinaria aderenza alle ragioni del sentimento, che pare impastare di sé ogni suo registro linguistico. Del resto, la stessa Marina scriveva: "La lirica pura vive di sentimenti. I sentimenti sono sempre uguali a se stessi. Non hanno evoluzione, come non hanno una logica. Ci sono stati ficcati dentro il petto - come fiamme di una torcia - fin dalla nascita". Anche per questo motivo, di particolare interesse è questa antologia di poesie d'amore, che se da un lato si offre come paradigma di un'anima costantemente in cerca di un 'tu' per potersi completare nel nome della grande passione, dall'altro diventa anche la cronaca spirituale di uno scacco esistenziale, che solo attraverso l'arte, attraverso la lingua della poesia, riesce a trovare la sua più autentica, e forse unica, sublimazione. I destinatari di queste poesie sono uomini e donne, amici e sconosciuti, persone reali o idealizzate: il marito Sergej Efron, la poetessa Sof'ja Parnok, i poeti Blok, Kuzmin e Pasternak, gli amanti avuti negli anni dell'esilio che non si sono mai rivelati all'altezza di una donna che chiedeva all'altro il "miracolo" della passione d'amore, perché "io devo essere amata in modo del tutto straordinario per potere amare straordinariamente".
Questo volume raccoglie tutte le opere di Marina Cvetaeva legate a Rainer Maria Rilke, il poeta prediletto su tutti, che Marina non potè mai incontrare ma che entrò nella sua vita con la potenza di un turbine. Oltre infatti al rapporto epistolare fra i due - e anzi fra i tre, perché è a un altro grande poeta, Boris Pasternak, che si deve la loro amicizia - quell'incontro letterario fece sì che Rilke dedicasse alla Cvetaeva la grande elegia dell'8 giugno 1926, e che Marina, ben oltre la scomparsa del grande poeta praghese avvenuta il 29 dicembre 1926 nel sanatorio svizzero di Val Mont, continuasse a rivolgersi a lui in una serie di opere che sono fra le più intense e importanti nella sua produzione, sia in versi che in prosa. Non opere 'dedicate' a Rilke, ma, come scrive la stessa Cvetaeva, veri e propri "colloqui con Rilke", e ancora di più: "la presonanza e la risonanza - in me della sua morte". Così, da questo punto di vista, i grandi poemi "Tentativo di stanza", "Lettera per l'anno nuovo" e "Poema dell'aria", si illuminano di una luce ulteriore e forse più netta; e con le meno note ma bellissime prose di La tua morte e di "Alcune lettere di Rainer Maria Rilke" vanno a costituire un originale insieme di straordinaria forza espressiva.
Una tra le ultime creazioni poetiche di Marina Cvetaeva, la tragedia Fedra (1928) chiude il periodo di maturità della poetessa russa e si conferma l'opera di maggiore complessità degli anni dell'esilio in Francia. Corpo poetico stratificato, polifonico, che al mito intreccia il folclore russo, la Bibbia e la tradizione sul soggetto classico, Fedra esprime il senso di disappartenenza al mondo, la legge del non-incontro che tanta parte ha avuto nella vita di Cvetaeva (da ultimo, il mancato incontro con Rilke nel 1926). A pochi anni di distanza dal debutto della Fedra di D'Annunzio, Cvetaeva presenta un'eroina "di ossa - non di carne", una voce vivida, un sussulto d'amore, uno spazio per l'anima. La nuova traduzione qui proposta avvicina il lettore italiano agli arabeschi sonori su cui poggia quella grandiosa edificazione fonetica che è la lingua di Cvetaeva, barocca e altisonante, a tratti essenziale e sibillina, sempre pulsante e generatrice di accostamenti semantici imprevisti.
Un poeta che ha riscritto l’avanguardia futurista e dadaista, che si ispira non alla musa epica ma a quella del transmentale, Birjukov fa rimbalzare sulla pagina bianca i suoni, i calembour, i neologismi di una lingua elastica e giocosa, mettendo in scena uno spettacolo di metapoesia ispirata ai grandi modelli del Novecento come Majakovskij, Chlebnikov e Blok. Tradotta e curata da Marilena Rea, questa è la sua prima antologia in assoluto pubblicata in Italia e rappresenta un nuovo tassello imprescindibile per conoscere la poesia russa di oggi.
Un libro di racconti delicati e realistici, popolati di persone comuni che hanno resistito alla guerra in Cecenia dando soccorso, lottando con coraggio, sopportando il grave peso di traumi e di ferite fisiche e morali. Tradotta per la prima volta in assoluto in Italia, l’opera di Polina Žerebcova rievoca le memorie dell’infanzia trascorsa sotto i bombardamenti di Groznyj negli anni Novanta, quando la vita era appesa a un filo e il miracolo si mostrava in semplici storie d’amore.
Prefazione di Marcello Flores.
Anche se la sua fama più vasta è legata soprattutto al romanzo "Il dottor Zivago", Boris Pasternak (1880-1960) è stato soprattutto un poeta. Proporre dunque una scelta delle poesie d'amore di Pasternak, come fa questo volume, ha una duplice valenza: in primo luogo, la poesia di Pasternak, dopo la fondamentale antologia curata da Angelo Maria Ripellino per l'editore Einaudi, non ha avuto in Italia tutta l'attenzione che merita; in secondo luogo, come bene sanno i lettori de "Il dottor Zivago", il tema amoroso è profondamente radicato nell'ispirazione del grande poeta georgiano, anche se in forma del tutto originale, perché - come sottolinea Marilena Rea nella prefazione - la rivelazione dell'amore in Pasternak è tanto prepotente quanto 'microscopica': "un bouquet di violette, un nasino arricciato, uno sguardo conficcato nel soffitto, una mano sotto la nuca"... Osservava Evgenij Evtusenko che, dopo Puskin, forse nessuno ha sentito la donna quanto Pasternak, elevando nel contempo la sensualità a livello di culto religioso o di grande fato pagano. E in effetti nella poesia di Pasternak tutto si trasforma in un sentimento panico: le immagini dell'amore trascendono in metafore naturali, così come i gesti e i sentimenti degli amanti si fondono con il sentire della natura: "E i giardini, gli acquitrini, i recinti, / e il cosmo che ribolle di bianche / grida - sono solo gradi della passione, / accumulata dal cuore di un uomo".
Tra le opere più tarde di Lev Nikolaevic Tolstoj (1828-1910) un posto particolare spetta a "Perché?", un vero e proprio romanzo breve diviso in dodici capitoletti, che l'autore scrisse nei primi mesi del 1906, sulla traccia della vita del patriota polacco Iosif Migurski. Ambientato ai tempi della cosiddetta 'Rivoluzione Cadetta' (1830-31), una ribellione armata contro l'impero russo in Polonia che scatenò una violenta repressione più volte stigmatizzata dal grande scrittore, il racconto si incentra sulla strenua resistenza di due anime, quella del patriota Migurski condannato ai lavori forzati e quella della sua amata Albina, disposta a tutto pur di ridonargli la libertà perduta e costruire finalmente la loro storia d'amore.
Il presente volume si compone di una serie di articoli compresi nel Diario di uno scrittore e scritti (pur inframezzati ad altri di diversa ispirazione) dall'ottobre al dicembre del 1876, e dunque a ridosso del grande lavoro per l'ultimo dei capolavori di Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov. All'origine di questi testi stanno due temi principali: quello del suicidio giovanile - in apparenza privo di vere motivazioni, ma che Dostoevskij scandaglia con la consueta profondità - e quello del caso giudiziario di Ekaterina Kornilova, la quale, alcuni mesi prima, aveva gettato da una finestra la sua figliastra di soli sei anni, rimasta poi miracolosamente illesa. I due temi si intrecciano e si allargano in una riflessione più generale che investe tutta l'etica dostoevskijana. Come scrive Marilena Rea nella prefazione: «Chi si suicida ha giocato fino in fondo la sua partita tra bene e male, la stessa che ricorre in tutti i romanzi di Dostoevskij. Nella visione profondamente spirituale che l'autore ha della vita, le pedine di questa partita si chiamano libertà, ragione, anima e Dio: l'uomo, in virtù della libertà di cui Dio lo ha dotato, è chiamato a scegliere il bene o il male, ed è proprio questo assunto a fargli correre il pericolo più grande, cioè perdere la dimensione spirituale della vita da cui discende la sua stessa libertà...».
In un mondo antico e lontano, la piccola principessa Jaga s’innamora di Kascej, il Guerriero delle Steppe venuto a conquistare il Villaggio e destinato a grandi cose. Ma la loro storia d’amore non piace né agli uomini né agli dei: i due ragazzi dovranno affrontare dure prove e incredibili avventure, e nemmeno l’aiuto di un dio potrà impedire loro di fare passi falsi, né li potrà salvare dal loro destino. L’adolescenza della strega Baba Jaga, uno dei personaggi più conosciuti del folclore russo, viene qui narrata in un racconto mitologico, a tratti allegorico. Una storia d’amore, un’avventura fantastica, un mondo ricco di simboli che affascina i ragazzi che amano il fantasy e le saghe. La strega Baba Jaga, che vive ai margini del bosco dentro una casetta con le zampe di gallina, non è sempre stata vecchia e cattiva. Anche lei è stata una bambina, una ragazza, anche lei ha amato ed è stata amata. Accadeva tanto tanto tempo fa, quando gli uomini e gli dei parlavano tra di loro e ancora si poteva volare sulle nuvole… Se ci lasciamo guidare dal curioso animaletto che conosce tutti i dettagli di questa storia, scopriremo il magico mondo popolato di dei e tutte le avventure che Jaga e Kascej affrontano in nome di un sentimento più grande…
La scelta di un vestito, ma per un funerale. Un tentativo di corteggiamento, senza soggetto. Il giardino dell'Eden, con fiori recisi. Un matrimonio, senza sposi. Una ricca eredità, ma scomoda. Una regressione, senza passato. La realtà sì, ma dipinta da un folle. Innamoramenti, senza intenzione. Una famiglia e i suoi segreti. Nulla è come sembra in questi nove tentativi che insieme costituiscono, con forza e determinazione, una prova di esistenza in vita. Marina Visneveckaja - proposta con questo romanzo per la prima volta al di fuori dei confini russi - descrive con penna tagliente e chirurgica tutte le possibili sfumature dell'animo umano, dalla tragedia alla parodia, dal turbamento alla trasformazione.
Estratto da "Per Tentativi".Questo non è un racconto sull'Olocausto. Questa è la storia di una donna e del suo segreto. Un segreto millenario. Un segreto universale. Da decifrare, come un grido che riempie l'anima e chiede parole. Per tentativi. Il presente racconto è un estratto della raccolta eterogenea intitolata "Per tentativi" di Marina Visneveckaja, scrittrice contemporanea russa pluripremiata, proposta per la prima volta al di fuori dei confini russi da Marilena Rea e Di Renzo Editore. I tentativi a cui si allude nel titolo sono prove di esistenza in vita.
L’Uomo, l’Universo, l’Amore e Dio sono i temi-pilastro dei versi di Nasimi. Versi lirici e mistici che predicano la dottrina Hurufi e, in una forma figurativa e allegorica, promuovono la filosofia del sufismo. L’“io” nella poesia di Nasimi si fa singolare collettivo, simbolo di un’umanità che persegue il perfezionamento spirituale e l’unità dell’Uomo con il mondo e l’universo. «L’essenza di Dio è nascosta negli uomini» recitano i suoi dirompenti versi, veicolo di convinzioni considerate blasfeme dalle autorità religiose del periodo che lo fecero catturare e uccidere brutalmente. L’opera di Nasimi rappresenta una tappa importante per la poesia, non solo in lingua azerbaigiana e persiana, e, non a caso, ha ispirato molti poeti turcofoni, tra i quali i suoi connazionali azerbaigiani Fuzuli e Khatai.
«Un popolo, quello russo, una città, San Pietroburgo, un'esplosione di dettagli cittadini e impressioni "alla finestra": è questo l'orizzonte mimetico in cui il poeta pietroburghese Aleksandr Kusner si muove con discrezione e sguardo acutissimo, trasponendo in versi i ritmi lenti e i rituali minuti del suo mondo quotidiano. Ogni lettore riconoscerà nelle sue liriche le proprie consuetudini, i propri amori, le proprie paure; ogni lettore coglierà nel fruscio dei cespugli e nei leggeri suoni della natura il balbettio della lingua primordiale del bambino; ogni lettore si sentirà contemporaneo di Kusner, e proprio in questo risiede il rischio più grande per un poeta che ha compiuto uno straordinario e lunghissimo percorso creativo (...) Scrive, infatti, il premio Nobel Iosif Brodskij a proposito di Aleksandr Kusner: "Ma noi non vediamo i nostri contemporanei, poiché sono i nostri contemporanei non li consideriamo sotto le categorie del tempo. Li consideriamo come i nostri pari, non riconosciamo dentro di noi la distanza, non li sottoponiamo a indagini retrospettive".
© Marilena Rea